Il primo degli sconfitti
Dopo ore di voci sul possibile addio di Larry Brown, la società ha rotto il silenzio e ne ha dato l'ufficialità.
Se tendete bene le orecchie è possibile sentire il sospiro di sollievo dei tifosi della Fiat Torino che già da tempo speravano in un cambiamento e in una presa di posizione societaria: ma è davvero così semplice?
Personalmente ritengo che la scelta sia stata necessaria e giusta ma non posso fare a meno di ripensare a ciò che è accaduto quest'estate, al clamore generato dalla notizia di avere una leggenda americana seduta sulla nostra panchina. Ricordo la mia prima conferenza stampa e l'aura che avvolgeva questo personaggio storico della pallacanestro, un Hall of Famer che attirava gli sguardi emozionati di tutti i giornalisti presenti e anche tra i tifosi la maggior parte era ben felice di vederlo all'opera.
Molti dubbi fin dal principio, sulla sua età e sul suo stato di salute, sarcasmo, inviti al campo da bocce, come se di punto in bianco a 78 anni si diventasse inabili: anche alla luce del suo operato io dalla mia non mi sento in diritto di prendermi gioco di una persona d'esperienza, che si è avvicinata con umiltà al basket europeo, sperando alla sua età di poter ancora imparare e cimentarsi con una nuova sfida. Non do colpe a chi ha voluto provarci e ne è uscito con le ossa rotte e un'ombra gettata sulla sua carriera.
Se vogliamo cercare un "colpevole" in tutta questa situazione sta nel fatto che qualcuno quella porta gliel'abbia aperta, non che lui l'abbia varcata.
Portare in Italia una leggenda del basket è stata un'ottima mossa di mercato, all'inizio, ma sicuramente non tecnica: un allenatore a fine carriera, con una salute precaria, senza alcuna conoscenza del nostro campionato e che nei confronti con realtà extra usa non ha mai dimostrato grande competenza, buttato nell'arena con un pubblico totalmente diverso da quello americano che è invece abituato a guardare le partite NBA per divertimento e non a rischiare la retrocessione.
Reinventarsi a quell'età sarebbe difficile per chiunque e probabilmente se un allenatore così importante ha scelto di venire a Torino era immaginabile che qualcosa sarebbe andato storto: per lo stesso motivo per cui qualunque giocatore arrivi da noi perde immediatamente tutte o parte delle sue abilità.
Ogni anno i pezzi del puzzle cambiano, si mischiano ed è difficile che possano incastrarsi se non con grande fatica, fortuna e perdendo molto tempo, soprattutto se la figura che si vuole comporre è sempre poco chiara.
Brown è stato dannoso come allenatore perchè, al di là di tutti i limiti tecnici evidenti, non ha aiutato a creare l'identità di questa squadra che ad oggi è ancora un insieme sconnesso di giocatori dal grande potenziale.
Con lui parte il suo assistente Calabria ma le conseguenze del suo operato non salgono sul suo aereo: i visti bruciati, i giocatori scelti e poi scartati, quelli che hanno perso fiducia, quelli mandati via per incompatibilità caratteriale.
Anno nuovo e problemi nuovi per Paolo Galbiati che si ritrova di nuovo nella condizione di dover gestire drammi sportivi non causati da lui e i riflettori puntati addosso: il Palavela lo acclama ma ricorda ancora il record negativo della scorsa stagione e non si può sperare che improvvisamente ci si ritrovi a festeggiare a Firenze.
L'unica cosa è stare a guardare la reazione dei giocatori, se l'orgoglio li porterà a stringersi intorno al nuovo coach per ripartire con una marcia diversa, perchè perdere non piace a nessuno e se Brown è stato il primo degli sconfitti nessuno avrà il piacere di seguirlo.
Photo credits: Fotoracconti.it
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