AMARCORD - May non basta ad una Berloni mai doma
Inizio stagione 1985/86, la Berloni a Milano. Con May e Bantom, Guerrieri in panchina e il sogno tricolore cullato in estate e poi per mesi. Una battaglia, come evidenzia il pezzo poi uscito su Stampa Sera il lunedì pomeriggio. Una grande prestazione per i gialloblù, con un May stellare, i soliti infortuni a penalizzare i torinesi (e sarebbero ritornati nella fase più calda del campionato) e un arbitraggio discutibile. Di là, i vari D’Antoni, Meneghin, Premier, il baby Henderson e Russ Schoene. Alla fine, Berloni battuta. Ma mai doma.
LA PARTITA CON LA SIMAC HA DIMOSTRATO CHE LA BERLONI VALE IL TITOLO
In un clima di battaglia la squadra di Guerrieri ha saputo sfoderare la sciabola e rispondere colpo su colpo all'aggressività dell'avversario. Sorpresa, molto relativa, però: Simac e Berloni giocano d'anticipo sul campionato (nel quarto turno di Al): «saltano» di botto tutta la «regular season» e si calano subito nei playoff, affrontandosi sin d'ora a muso duro, per «la vita e per la morte», come cioè richiede il «dentro o fuori» che, ogni primavera, assegna lo scudetto. A mare il fioretto, quindi, cioè la tecnica, e mano alla sciabola, cioè alla potenza, all'agonismo esasperato, alle botte. Certo, i puristi storcono il naso ed il basket ci perde qualcosa, ma la tensione prende alla gola ed esalta il pubblico come le grandi battaglie. Evidentemente, Berloni-Simac è ormai quasi come Boston-Los Angeles (paragone blasfemo, certo, ma chiarificatore); non ci stanno proprio a perdere l'una contro l'altra, neppure quando i due punti contano poco o nulla. Si patiscono reciprocamente ed hanno sempre qualcosa da dimostrarsi. Nel caso poi Milano (cui il primato, ora come ora, non deve poi interessare granché) vuol ricacciare in gola a Torino le sue ambizioni di golpe tricolore, mostrarsi ancora di un altro pianeta, cancellare le pericolose sensazioni dei playoff '84-85, di un avvicinamento dei valori. Torino, dal canto suo, vuol far vedere ai rivali che la sudditanza psicologica è finita, che è pronta al sorpasso e che è decisa a sfidarla anche sul suo terreno favorito, quello del gioco duro, «intimidatorio». Insomma, per due punti che non contano (ma sarà poi vero?), molti aspetti psicologici importantissimi (anche al fine della conquista dello scudetto) trasformano il match In una sfida caldissima, mozzafiato dall'inizio alla fine. Peccato che il sorteggio malevolo assegni a cotal duello due arbitri (in specie Di Lella) davvero inadeguati, incapaci di frenare gli scontri, eppur fiscali (47 falli fischiati in 40’) e pavidi, tanto da subire gli oltraggi verbali di Meneghin e da trasformarsi subito in persecutori degli ospiti, cosi da sottrarre loro un Della Valle determinante e da mettere nei guai anche May e Bantom, cosi da decider loro, più di Premier e D'Antoni le sorti dell'incontro. In questo clima di battaglia, la Bertoni dimostra comunque una tempra nuova ed insospettata. Per 10', non solo risponde ruggito a ruggito, zampata a zampata (vedi Della Valle - Meneghin) ma costringe gli avversari ad un basket a mille all'ora e rifila loro otto punti successivamente, dopo una flessione a cavallo dei due tempi, si ritrova appieno, a dispetto della falcidia arbitrale (e dell'assenza di Croce e Pessina, cioè dei cambi per i lunghi) e tiene botta alla grande sino al fischio finale. Milano, quindi, esce dal campo con 1 due punti, ma Torino conferma, anche a se stessa, le sue grandi possibilità, un bottino forse perfino più importante di quello conquistato dal padroni di casa: è la Berloni (il Palalido lo ha proclamato ufficialmente) la vera sfidante per il titolo di una Simac che per altro non intende assolutamente abdicare. Il clima caldo di cui si è detto ha esaltato i gladiatori: D'Antoni e Premier fra 1 milanesi, Della Valle e May, fra 1 torinesi. «Bisonte» Scott, soprattutto, è stato incredibile, un extraterrestre addirittura, è stato la Berloni intera nel momento di crisi del primo tempo, e nel secondo, quando la coppia arbitrale ha messo a sedere Della Valle (definitivamente consacratosi campione), liberando D'Antoni dai suoi tentacoli. Trentatré punti per May, infallibile anche dalla lunetta (11/11). Sempre il clima ha invece condizionato i nuovi di Guerrieri. «Mister miliardo» Savio, spento e poco convinto (ha commesso due gravi errori nel concitato finale) e lo stesso ex «pro» Bantom, riscattatosi con la classe nella ripresa, hanno patito la battaglia, cosi come Morandotti, che ha fallito l'ennesimo esame milanese. Al cospetto di un pubblico che lo ha ripudiato e lo ha sistematicamente fischiato e sbeffeggiato, Riky si è smarrito sbagliando del tutto la partita. Ma a dispetto di questi nei, resta l'impressione ottima di una Berloni guerriera e capace di ulteriori progressi. Una Berloni, insomma, che davvero può quest'anno portare lo scudetto a Torino.
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