4 Maggio 2016
A Torino il 4 Maggio ha un significato particolare e forse proprio per questo non me la sono sentita di pubblicare un pezzo su un anniversario proprio ieri, perchè al cospetto del Grande Torino tutto il resto sembra decisamente mediocre.
Oggi però mi ritrovo a pensare al 4 Maggio 2016 e mi domando come facciano ad essere già passati due anni.
Ricordo tutto, dall'ansia dei giorni precedenti quando scrivevo sull'agenda tutte le combinazioni di punti possibili tra le squadre in corsa per la salvezza, al batticuore che ho avuto fin dal momento in cui quel giorno è suonata la sveglia.
Torino, nel suo primo anno in serie A dopo tanto, troppo tempo, si ritrovava ad un passo dallo sprofondare nuovamente in serie A2 e mi dicevo che non sarebbe stato giusto.
Non lo avrei accettato perchè la stagione non era stata un granchè, è vero, ma il finale era stato eroico, degno di una sceneggiatura per il grande schermo.
Dopo la frustrante sconfitta contro capo D'Orlando eravamo a -6 dalla penultima in classifica: il web ci dava per retrocessi e in tv qualcuno non perdeva tempo ad accusare i giocatori, eravamo spacciati e derisi.
Posso dire di averci creduto e di non essere stata sola, di aver fatto quel viaggio della speranza verso Pistoia e di essere tornata a casa felice e fiera.
Nelle partite successive il Ruffini si è stretto attorno ai suoi uomini in campo ed è stato complice di vittorie incredibili.
Sembrava vedessimo finalmente la luce in fondo al tunnel, fino a quando nel tunnel non abbiamo fatto un frontale contro la Virtus Bologna, a casa loro, con la peggior partita di sempre o quasi. Ricordo ancora il momento in cui dagli spalti ho guardato Mancinelli chiedere il cambio e arrendersi, la rabbia di gettare al vento i punti guadagnati nelle ultime gare perdendo contro la nostra diretta avversaria e in modo disonorevole.
Tutto dipendeva dall'ultima partita, cerchiata in rosso sul calendario, contro Pesaro.
La vittoria è arrivata, abbiamo dominato e i giocatori hanno fatto il loro dovere ma sapevamo tutti che non sarebbe bastato: nessuna celebrazione sul fischio finale, eravamo tutti intenti a guardare il cellulare per avere notizie da Bologna.
Sono stati i 5 minuti più lunghi della mia vita, il palazzetto era avvolto da un silenzio irreale rotto soltanto dagli aggiornamenti che lo speaker dava al microfono: l'isteria mi ha portato a telefonare a mio nonno chiedendogli di accendere la televisione e di farmi la telecronaca, e in quel momento ho capito che in una situazione di emergenza è meglio chiamare prima chiunque altro. Secondo lui mancavano quattro minuti quando probabilmente mancavano 4 secondi e penso di avergli rotto un timpano quando abbiamo iniziato tutti ad urlare perchè era finita davvero: eravamo salvi.
Non sono in grado di spiegare cosa io abbia provato in quel momento, non ricordo nemmeno se ho pianto davvero o se me lo sono immaginato, ma di una cosa sono certa: soffrire è bellissimo.
Essere in grado di amare una squadra fino a questo punto, di rischiare un infarto, di urlare come pazzi, di incazzarsi terribilmente e piangere di gioia è uno dei privilegi che noi tifosi abbiamo e non dovremmo mai dimenticarlo.
Non sto dicendo che la mia ambizione sia di lottare tutti gli anni per la salvezza, penso sarebbe bellissimo anche fare una stagione tranquilla, senza intoppi e vincendo, ma fin'ora non so ancora bene cosa voglia dire.
Nel Dna di Torino c'è scritto sofferenza: quando questa culmina però con una gioia così grande è lo spettacolo più incredibile che si possa vivere, in barba a tutti quelli che non sono capaci di crederci.
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