Canestro e Fallo: La partita che ci voleva
Torna l'appuntamento con Francesco Bugnone che ci racconta la vittoria con Milano vissuta dagli spalti
LA PARTITA CHE CI VOLEVA
In questo mese abbondante è successo un po’ di tutto: gli schiaffazzi presi da Zagabria, il crollo con rimonta sfiorata con Cantù, le presunte faide Vujacic-Patterson, voci di mercato, il materasso di Vujacic, affettuose amicizie poetiane, le amnesie contro Pistoia e la tripla di tabella di Ivanov, “Come sputtanate la differenza canestri” in sei secondi in casa di Andorra. Così, lentamente, inesorabilmente, si erodevano certezze e la splendida macchina Auxilium di inizio stagione, inceppata, dava spazio a brontolii e preoccupazioni.
Ed è proprio in quel momento che è arrivato quello che serviva: l’Olimpia. La squadra, sulla carta, più forte d’Italia. Quella che, se fai l’impresa, ti fa rimettere in moto alla grande. Da giorni dicevo a chiunque, compresi ignari passanti, che o avremmo perso male o avremmo vinto, senza altre alternative tipo “sconfitta dignitosa”, “in partita fino all’ultimo” o “mannaggia alla pupazza se fosse entrato quel tiro a dieci secondi dalla fine”. O zero o mito.
E, in un Ruffini ruggente, sembra iniziare a mettersi subito bene. Innanzitutto, difendiamo. Milano sbaglia una serie di tiri aperti in modo imbarazzante. Patterson torna quello di inizio stagione. Ci aiutiamo. Mettiamo dentro i liberi. Milano, al tiro, sembra noi in casa di Venezia due anni fa. METTIAMO DENTRO I LIBERI. Iannuzzi torna Iannuzzi e fa tantissima legna. I LIBERI. L’HO GIA’ DETTO DEI LIBERI? Rubiamo palloni. Percentuali biancorosse da tre imbarazzanti e una serie di tiri sputati beffardamente dal ferro con gli dei del basket che ci fanno l’occhiolino. I loro lunghi carichi di falli. Washington dominante. Patterson e Vujacic che si battono il cinque, si incoraggiano e, per smentire i dissidi, potrebbero anche finire per limonare.
Siamo contenti, ma è una contentezza col freno a mano tirato. Un periodo buio lascia scorie e nell’intervallo il sorriso è tirato, la paura che Milano alzi le percentuali, che il nostro approccio al terzo quarto non sia dei migliori, che l’esiguo vantaggio di cinque punti venga divorato in fretta incidono sulle sicurezze. E allora ci pensa lui a liberarci da tutti i timori, la paura di essere felici. E lui è Trevor Mbakwe. Zompa ovunque, mulina le braccia come una piovra gigantesca, scaviglia e resiste, schiaccia tutto lo schiacciabile, schiaccia tutto, Madonna, tuttooooo. Il divario si allarga, guardo con la coda dell’occhio i milanesi in trasferta e riconosco certe espressioni. Le avevamo noi mentre Culpepper ci segnava da ogni parte, per esempio. Quando, all’inizio del quarto periodo, il redivivo Jones spara una tripla dall’angolo totalmente fuori equilibrio e ci porta sul più venti, abbiamo capito tutti come finirà. Sì, Milano riprova subito a farsi sotto con un parziale di 7-0 ricacciata indietro da una tripla orgasmica di Vujacic (poche, ma buone) e nell’ultimo minuto e mezzo, una trentina di secondi in cui si mixano braccino e momentaneo rincoglionimento rischiano di riaprirla più del dovuto, però è fatta, è vinta, siamo terzi, o meglio, secondi con Avellino, Milano e Venezia (semifinaliste e finalista dello scorso anno) dietro la lepre Brescia e adesso abbiamo solo voglia di ricominciare a correre in Europa contro Levallois. Vogliamo passare il turno in Eurocup, vogliamo ancora le interviste a bordocampo di Benedetta Abbruzzese! Madonna, quanto ci voleva questa partita.
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