La nostra prima volta
La prima volta non si scorda mai, è risaputo, fa parte di quei ricordi che ti porti dietro con un sorriso ma anche un po' di imbarazzo, un momento speciale che però spesso a grandi aspettative fa seguire una realtà dei fatti un po' deludente.
Ieri sera mi sono sentita così, sedotta ma non del tutto soddisfatta, con la consapevolezza che si può fare di meglio, innamorata ma delusa da un amplesso durato troppo poco.
Forse è il caso che mi spieghi.
Sono il tipo di persona che era seduta sui seggiolini del Ruffini quando i giocatori dovevano ancora scendere in campo e per questo motivo ieri sono partita alla volta del Palavela con tre ore esatte d'anticipo.
Il parcheggio è ormai un incubo ricorrente e mi mette più ansia di un film horror o delle elezioni, e per questo motivo sono tentata dal parcheggiare a Moncalieri per paura di non trovare posto: in realtà ho lasciato la macchina a 250 metri dall'ingresso per poi scoprire posti liberi di fronte ai cancelli.
Alle 18.20 siamo in quattro gatti a pregare che non inizi a piovere prima delle 18.30 quando è prevista l'apertura dei cancelli: come potete immaginare non sarebbe mai potuto filare tutto liscio quindi non ha piovuto ma le porte del Palavela sono rimaste chiuse.
Devo fare una premessa: scegliere di vivere le partite dagli spalti e non dalla tribuna stampa mi permette di raccogliere spunti che difficilmente potrei avere altrimenti, adoro stare tra la gente, il clima di attesa e il rapporto che si crea tra le persone che guardano la partita insieme.
È proprio l'attesa che ha caratterizzato l'esordio della Fiat Torino al Palavela, perchè è vero che amo socializzare durante le partite, ma preferisco farlo guardando il campo da gioco e non il cancello sbarrato.
A quanto pare la commissione per la sicurezza ha deciso di esaminare scrupolosamente il nuovo impianto per scongiurare ogni rischio attentato, non prendendo però in considerazione una variabile: dopo un'ora e mezza in coda, in piedi e al freddo il palazzo lo avremmo volentieri fatto saltare noi.
I responsabili della sicurezza esterni, che quando sono arrivata non avevano idea di come fossero stati concepiti gli ingressi, alle 20 passate hanno ormai quasi imparato a dare informazioni agli spaesati, aiutati da noi presenti che diamo indicazioni per i settori come fossimo hostess di volo.
L'obiettivo è stato raggiunto: alle 20.10 ci sono le file, ora hanno tutti la testimonianza della folla che aspetta impaziente la prima partita in casa.
La suspance però non si limita a questo, infatti quando il cancello viene finalmente aperto dall'uomo con la pettorina diventato ormai uno di famiglia e iniziamo a porgergli gli abbonamenti il lettore dei codici a barre decide di spegnersi. Senza bip nessuno può entrare, fatta eccezione per un leprotto che saltella all'interno beffandoci, e diamo prova di sangue freddo che in altri ambienti sarebbe potuto sfociare in rissa.
Quando finalmente riesco ad entrare dico al tizio che mi passa il metal detector che se avessi avuto una bomba l'avrei fatta esplodere prima.
Il Palavela ti lascia a bocca aperta con le sue luci, la sua grandezza, una visuale eccezionale (per lo meno dalla tribuna centrale) e il cubo elettronico indecifrabile.
La mia prima partita in casa risulta quindi più breve del solito per una come me abituata a guardare tutto il riscaldamento, subito presentazione dei giocatori e si comincia.
Si comincia male, ma male davvero: il Mornar Bar dovrebbe essere una delle formazioni più deboli tra quelle che incontreremo in Eurocup e contro di noi sembrano i Warriors; una pioggia di triple si abbatte su una Fiat Torino addormentata in difesa e molle in attacco e all'intervallo siamo sotto di 15 punti.
La cosa positiva delle file molto ravvicinate è che al di là delle ginocchiate in testa sei portato a commentare con tutti quelli che hai intorno, a scambiare opinioni riguardo a se sia giusto o meno insultare con veemenza chi sbaglia un appoggio da sotto.
Al ritorno in campo si raccolgono i frutti della strigliata fatta in spogliatoio da coach Galbiati, esperto nel ritrovarsi responsabile della squadra quando sta andando male: recuperiamo tutto lo svantaggio con un break incredibile, passiamo in vantaggio giocando finalmente a pallacanestro.
La partita sembra indirizzata positivamente ad un minuto e mezzo dalla fine ma la storia insegna che tutto può accadere in pochi secondi: Taylor che ha giocato fino a quel momento una partita pazzesca ha la sciagurata idea di alzare un alley-oop per un Mcadoo che invece non sta convincendo per niente. Palla persa, tripla subita e confusione in attacco che non porta punti.
Perdiamo di quattro e restiamo delusi come quando dentro ad un pacchetto bellissimo non trovi il regalo che speravi.
La sensazione è che a questa squadra manchi qualcosa, forse cattiveria agonistica, forse talento individuale, ma solo il tempo potrà dire se sono lacune colmabili con l'allenamento.
Attendiamo sabato sera per poter godere di questo palazzetto bellissimo, seppur più dispersivo del Palaruffini, per riempirlo il più possibile e tifare insieme nella gara contro Trieste, uniti spero più nel supportare la squadra che nel criticarla.
Photo credits: Fotoracconti.it
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