Canestro e fallo - Un tranquillo martedì di goduria
La vittoria con Andorra vissuta sugli spalti con la consueta "verve".
Si arriva a Palazzo emozionati per la prima europea in casa dopo ere geologiche e ancora non si sa nulla. Non si sa che, da lì a qualche minuto, vivremo tutto il caleidoscopio di emozioni che quel meraviglioso sport che è il basket può dare. Non si sa ancora, soprattutto, che vivremo un tranquillo, con mille virgolette, martedì di goduria.
Prima del match il clima è molto inizio anni ’90: contribuiscono al tutto le squadre chiamate senza gli effetti speciali del campionato e con le luci rigorosamente accese e il non eccessivo numero di presenze sugli spalti. Siamo lontani dal pienone contro Sassari, ma il tifo è sportivamente cattivo il giusto, vero sesto uomo da un certo punto in poi. Anche questo è molto nineties, mancano solo i tizi in giacca e cravatta che, nel parterre, andavano a battere i pugni contro i vetri (immagine che ha segnato la mia adolescenza), ma non si può avere tutto.
Si parte e credo di battere il record di due imprecazioni consecutive in tre secondi, per il modo in cui si perde il primo pallone e si becca il primo canestro da parte di Andorra. Il nervosismo, con annesso turpiloquio, caratterizzerà il mio primo quarto, complici una certa sbadataggine nostra e anche gli 857 fischi contro dei signori in blu con conseguenti domande sul mestiere svolto da alcune loro parenti. I tre falli di Washington sono un piccolo record da non ripetere.
A inizio secondo, dal nervosismo si passa allo sconforto. Andorra sembra fare cosa vuole, mentre noi non capiamo nulla. Si sprofonda a meno quattordici e il rischio di azzerare i benefici della splendida vittoria di Zagabria è reale. Quando il gigante Karnowski pare iniziare a maciullarci nel pitturato, nella mente c’è tanta, tanta voglia di Gino.
Poi, però, si passa dallo sconforto al delirio. Non se vi hanno detto che ieri Okeke ha girato l’inerzia della partita. Il fatto è che tutto il “Ruffini” se ne è accorto nello stesso istante, ovvero la stoppata di David a Fernandez. Il segnale convenuto, la trombetta che suona indicando l’arrivo dei nostri, il pubblico che inizia a triplicare lo sforzo vocale, tappezzando il campo con le proprie tonsille (bella immagine, vero? Spero non stiate mangiando). Parzialone a chiudere il secondo quarto e per partire di slancio nel terzo, caratterizzato dall’onnipotenza: Sasha vuole farci esplodere con una tripla? Ok. Patterson vuole concretizzare il fatto che l’uomo sogni di volare? Si può fare. Okeke decide di metterla due volte da tre facendoci ululare? E chi siamo noi per impedirlo? Vantaggio in doppia cifra e la sensazione che sia quasi fatta.
Ovviamente, fatta un paio di ciufoli. L’ultimo quarto è quello della paura. Il possibile più 15 che ballonzola sul ferro e il rientro in partita di un avversario volitivo, con tre triple di fila creano l’impercettibile, ma reale, sensazione di cagotto. Però non sbandiamo: quando serve, Garrett e Mbakwe ci sono e la si porta a casa, anche se con un pochino di patema per la caviglia di Jones, giratasi nel finale. Il quarto quarto è anche il grande momento di coach Penarroya. La postazione in gradinata dietro la panchina ospite permette di vedere le evoluzioni del coach avversario e il nostro non ha tradito, protestando in qualsiasi istante, a momenti anche per i fischi a favore: se avessi un euro per ogni “ma cosa protesti (aggiungere epiteto a scelta)” urlato ieri, non sarei ricco, ma vi offrirei una cena. Invece non ce l’ho, però alla ricchezza sostituisco la soddisfazione morale del doppio tecnico che ha portato l’allenatore all’espulsione, con tanto di passeggiatina verso il tunnel condita da chiare Madonne lanciate in spagnolo o meglio in catalano, essendo nativo di Terrassa. (Questa l’ho guardata su Wikipedia, eh).
Nel capitolo “Sette gol e una scazzottata”, in “Febbre a 90” di Nick Hornby, fra gli ingredienti di una partita memorabile, oltre a rimonte, arbitraggi scandalosi, pubblico in forma e un certo tipo di espulsioni (tutto, bene o male, presente ieri), al punto sette abbiamo “Un episodio <vergognoso> di qualche tipo (uguale anche a <scemata>, uguale anche a <fesseria>, uguale anche a <sgarbo>)”, con la coscienza di entrare in un terreno morale ambiguo. Bene, ieri sera abbiamo avuto anche quello. Le squadre, a fine gara, al centro del campo, prima sembrano salutarsi, poi sembrano beccarsi, infine sembrano, un pochettino, ma proprio poco, menarsi, mentre il volume, tutto intorno, sale fino a diventare un ruggito. Le cose paiono placarsi, poi, uscendo, un ridanciano Blazic ha la bella idea di applaudire ironicamente verso la curva. Se il vangelo secondo Sacha prevede che a Torino non si venga a schiacciare o a fare le facce, figuriamoci cosa può dire su chi fa certi gesti verso i tifosi di casa. In tempo zero, Vujacic è urlante verso il connazionale, mentre Banchi, non pago di essere un grandissimo tecnico, decide di crearsi un futuro come security nei locali e lo stoppa. Scene non edificanti, certo, ma hanno messo il carico a una serata già colma di adrenalina. Hanno reso ulteriormente indimenticabile un tranquillo martedì di goduria.
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