Nel cuore e nell’anima
Non è semplice scrivere di una stagione così piena e coinvolgente dal punto di vista emotivo, perché si rischia di scivolare nella retorica dei buoni sentimenti o della sconfitta a testa alta, espressione ormai utilizzata per qualsiasi ko a meno che si perda 82-0, ma forse qualcuno la utilizzerebbe anche lì. Non è semplice, ma bisogna farlo perché il viaggio della Reale Mutua Basket Torino è stato pazzesco, non merita retorica, ma sincerità. Entra anche in gioco il lato personale visto che questa è stata la squadra gialloblù che più ho amato in questo decennio superando quella del primo anno di Pillastrini in Lega Due, quando eravamo finalmente tornati sulla carta geografica del panorama cestistico nazionale, e l’Auxilium 2016/2017 di Frank Vitucci con Deron Washington, Poeta, Chris Wright, Mazzola e DJ White. Quando è suonata la sirena di gara 4 con Pistoia ero quasi più triste per come stessero i giocatori che per come stavo io e vi garantisco che stavo malissimo.
La Reale ha fatto un’impresa che non stata è tanto partire da meno tre, qualificarsi per la Coppa Italia, accedere ai playoff, fare una grande fase a orologio e giungere in finale. Queste sono le conseguenze. Basket Torino è entrata in un palazzetto non pienissimo e, col suo modo di giocare e col suo modo di vincere, ha preso di peso la gente e l’ha portata a riempire il palazzetto nelle ultime partite trascinandola come poche compagini hanno fatto. Non era un compito facile, perché molti spettatori di Torino vanno convinti, pungolati, hanno sempre una scusa, ma a un certo punto di scuse non ce ne sono più state e il Ruffini è tornato pieno in ogni ordine di posti.
Franco Ciani ha creato con pazienza e bravura un’alchimia che ci ha permesso di giocare un basket divertente, bello, dove ci si aiuta e ci si sbuccia le ginocchia e in cui, al tempo stesso, i giocatori facevano coesistere umiltà e con faccia tosta. Torino ha capovolto una storia che spesso la vedeva soccombere negli ultimi minuti e per un periodo dell’anno il pensiero nefasto “Vediamo come la perdiamo nel finale” che ci terrorizzava in molti finali punto a punto degli anni precedenti, è diventato “vediamo come la vinciamo stavolta”. Provate a riguardare (senza commuovervi) il filmato sui social in qui appaiono in fila gli innumerevoli momenti clutch della stagione. Guardatelo e pensate a cosa stavate facendo, se eravate sugli spalti, se stavate guardando la partita sull’app, se vi stavate scrivendo con qualche amico malato come voi riempiendo Whatsapp di meravigliosi sbrocchi (ciao Fabio). Tra triple di Pepe, perle di Vencato, zompi di Jackson, magate di Mayfield e di De Vico per concludere con QUEL canestro di Guariglia con Treviglio, troveremo i motivi per cui dobbiamo dire grazie a questa squadra.
Questi sono giorni di malinconia e c’è una foto che li rappresenta più di tutte le altre. Ci sono Capitan De Vico e Simone Pepe seduti a terra nei pressi del canestro, fissano davanti a loro con espressione delusa. Forse stanno guardando Pistoia alzare la coppa o guardano semplicemente il vuoto pensando a tutto quello che poteva essere. È una delusione umana, molto umana che vale più di mille discorsi e diventa il manifesto senza parole di quello che abbiamo nel cuore ora mentre leggiamo i messaggi di fine stagione e cerchiamo di capire se sarà un addio o un arrivederci o che cosa. Sarebbe bello se lo zoccolo duro restasse. Sì, ragazzi, so che Torino è una città particolare e per molte cose lo sono anche i torinesi. Però quelli che fate innamorare vi giureranno fedeltà per sempre, vi ameranno ovunque sarete. Pensateci.
Concedetemi ancora due menzioni ad personam. La prima è per il capitano. Giocare le ultime partite senza De Vico è stata una coltellata, ma soprattutto lo è stato il motivo per cui non c’è stato. Un infortunio assurdo nella dinamica, doloroso oltre ogni immaginazione sia fisicamente che moralmente, perché va a prendere una delle parti più delicate e importanti del nostro corpo. Nei giorni successivi cercavo di capire cosa fosse successo dalle storie su Instagram con l’apprensione che si dedica a parenti e amici. Rivedere Niccolò prima in borghese e poi addirittura in panchina per dare ulteriore cuore ai compagni è stata un’altra dimostrazione di quanto sia stato fondamentale negli ingranaggi della squadra ed è stata anche l’ennesima immagine, l’ennesimo concetto, l’ennesima emozione della stagione per cui le parole non bastano, ma chi ha visto e sentito sa. Capitano, guarisci presto e guarisci bene poi riprenditi tutto quello che meriti.
La seconda menzione è per Franco Ciani, la miglior scelta che David Avino poteva fare per la panchina (off topic: il presidente che, col braccio al collo, si butta nell’abbraccio al Guaro dopo il buzzer beater con Treviglio è uno dei momenti clou dell’anno e non solo). Torino aveva e ha bisogno di una persona e di un coach così. Le sue conferenze stampa sono state un genere a parte con lo zenit di “Pierino nella classe dei maestri”, le sue idee tattiche ci hanno fatto rimanere attaccati a partite che stavano andando male perché sapevamo che qualcosa sarebbe potuto accadere. Ciani ha preso i colori gialloblù con una missione, quella di dare credibilità, e l’ha vinta dopo poche partite rendendo legittimo e quasi razionale sognare anche se le favorite erano altre, anche se spesso i complimenti andavano verso diversi lidi, ma chi seguiva sapeva che saremmo potuti arrivare in fondo e lo abbiamo fatto. Poi le finali sono fatte di tante cose, pensate a quante ne perse la Fortitudo negli anni di Seragnoli. Però eravamo lì e se c’eravamo è stato principalmente grazie a quest’uomo con lo sguardo limpido e le idee belle che è riuscito a far entrare questa squadra nel cuore e nell’anima degli amanti della pallacanestro sabauda. Non vedo l’ora di vedere cosa ci cucinerà l’anno prossimo, per citare una frase in voga adesso. Ma quando arriva ottobre? Forza Torino.
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