Canestro e Fallo - Santificare le feste
Il Palazzo pieno. La coppa mostrata al “Ruffini”. Le magliette gialle sui seggiolini. Quelli che si fottono le magliette gialle sui seggiolini. Quelli che ci sono sempre. Quelli che ci sono un po’ meno e sembrano bisognosi di cartina geografica mentre vagano fra i settori. Adrenalina a mille. Il clima di festa. Il clima perfetto. Per perdere.
Sì. Perdere. Perché quando tutto è apparecchiato così accuratamente, spesso capita qualcosa che rovina tutto. Come quella volta che hai fatto una festa a casa tua, hai fatto partire la playlist di Spotify preparata appositamente e proprio nel punto in cui c’è la canzone inserita tatticamente per fare colpo sulla ragazza che ti piaceva, quella si è alzata ed è andata in bagno. In più, dall’altra parte, c’è Capo d’Orlando, storica bestia nera. Il tizio col cilindro bianco e blu che, prima della gara, fischia in maniera insopportabile, sembra un sinistro presagio.
E invece no! Li ammazziamo di triple da ogni dove con Kerr che pare si sia attaccato al telefono per farsi comprare Colo per il prossimo anno. Entra Pelle e si presenta con una stoppatona. Certo, ogni tanto ci dimentichiamo di difendere, so’ ragazzi. E Capo ne ha fatti comunque diciotto. Però il sorriso è a trentadue denti, anzi, 35, come i punti nel primo quarto.
Sorriso che diventa paresi sin dalle prime battute del secondo quarto. Le nostre percentuali si normalizzano e Capo rientra. Due suoni orridi si confondono: “occasionale porti male” nella mia testa, “Or-lan-di-na/Or-lan-di-na” alla mia sinistra. Che poi è uguale ad “A-gri-gen-to/A-gri-gen-to” ai tempi della finale playoff 2015. Ma non è che sono le stesse identiche persone? Nel frattempo, spuntano delle magagnette: Deron non è il solito Deron, Diante non è il solito Diante, Vander è ancora comprensibilmente spaesato, sui pick and roll centrali non ci capiamo molto, iniziamo a fare pietà dalla lunetta e Campani ci sta massacrando. Qualcuno vada a toccargli la faccia: magari ha una maschera e sotto c’è Joel Embiid.
Però, quando il gioco si fa duro, Sasha inizia a giocare. Basterebbe il 71% da tre per santificarlo in vita, ma c’è anche tutto quello che mettea livello di energia a far pensare a Mattarella di dargli l’incarico per formare il governo. Quando Capo vola a più 8, però, il “Ruffini” ha una reazione simile a Fantozzi contro Catellani al trentottesimo coglionazzo e a 49 a 2 di punteggio. Decide di non lasciare la curva da sola a cantare ed entra finalmente in campo. E l’Aux, a sua volta, decide di buttare sul parquet l’arma segreta con cui ha vinto a Pesaro e ha alzato la Coppa a Firenze: il cuore. Cuore dappertutto, ruggiti sugli spalti, una cappa che fa sbagliare gli avversari e fa volare noi, gente che urla “STAI SEDUTOOOOO” al tizio col cilindro mentre evoca falli a caso. E’ tutto meraviglioso.
Quando, sul più due a pochi secondi dalla fine, i ragazzi di Di Carlo sbagliano e Vujacic vola in contropiede, vorrei che tutto rallentasse e partisse la musica di Momenti di Gloria. Invece gli fanno fallo, andiamo in lunetta e facciamo uno su due giusto per caghicchiarci ancora un po’ addosso. Ma i nostri avversari sbagliano ancora e, mentre gli arbitri consultano l’instant replay per verificare a chi dare la rimessa a otto decimi dalla fine, Galbiati e Pelle si abbracciano felici in un’immagine che meriterebbe un mondo migliore del nostro. Sirena, finito, vinto contro chi non avevamo mai battuto in casa. Ricordati di santificare le feste. Lo abbiamo fatto e non era assolutamente scontato.
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