Canestro e fallo: "Fate presto!"
Tornano Francesco Bugnone e la sua 'penna' morbida ma appuntita quando serve...
L’estate non prometteva benissimo.
Non ci sono mai state stagioni facili, non ci sono mai stati inizi facili.
Però, quest’anno, sarà stato per il bisogno di normalità dopo una stagione che più da montagne russe non si può, con lo zenit di quella coppa alzata al cielo e il nadir di un girone di ritorno da retrocessione, sembrava un pochino peggio.
La telenovela Larry Brown (arriva/non arriva, firma/non firma, ha firmato davvero o no), l’escape di Morris, i dubbi su una squadra zeppa di americani praticamente a digiuno di Europa, l’infortunio a Tra Holder: tra problemi autoinflitti e sfighe che con Torino ci vedono benissimo, l’aria non è delle migliori.
Come se non bastasse, la foto di una canotta bianconera ricopre l’agosto di simpatico delirio: oddio, arriva la polisportiva. Si apre un magnifico dibattito, dove quelli a favore cercano di spiegare, col solito tono di chi ha capito tutto che li ammanta dopo sette anni di vittorie in altri ambiti, neanche avessero un qualsivoglia merito nei successi della squadra, che sono gli altri a non capire, quelli per cui il bello del gialloblù è proprio di unire fedi calcistiche diverse e anche chi fedi calcistiche non aveva. In mezzo, anche qualche polemica per le code in stile piazza Baldissera nei primi giorni di abbonamento, complice una comunicazione/organizzazione non proprio al top.
Però poi la palla inizia a rimbalzare sul parquet e tutto sembra tornare a posto. Questa Torino determinata che tira poco da tre e attacca il ferro può piacere. Può funzionare. In Supercoppa lo fa: batte la Trento mister Hyde di ogni inizio stagione, cede a testa altissima contro la corazzata Olimpia in finale. Ha tutto per farsi volere bene. Nonostante due sconfitte, lo conferma anche in Eurocup contro Francoforte e all’esordio in campionato contro un’altra corazzata, Venezia. Due partite perse all’overtime, dove manca la lira per fare il milione, ma ci siamo.
Da quel momento, però, il buio o quasi: due vittorie in campionato (contro la rimaneggiata Trieste e con una solidissima prova a Reggio Emilia) e poi solo amarezze. Il canovaccio è quasi sempre lo stesso: si parte male, si recupera, si rientra, si è lì lì per sorpassare, ci si crede, si perde.
Il contorno non aiuta. E’ un insieme di piccole cose che, sommate, sono tanti sassolini nell’ingranaggio. Alcune “volute”, alcune no. Il palavela è figo, si vede bene, ma sembra vuoto anche quando è pieno. Si doveva cambiare casa per i motivi arcinoti, ma la nostalgia per la sensazione dell’ingresso al PalaRuffini e la vampata di caldo che ti faceva subito capire dov’eri, c’è tutta. La vicenda Stojanovic: preso per non giocare. La vicenda Taylor: preso per un ruolo non suo. I tanti infortuni, alcuni prevedibili, altri meno, perché, vedi sopra, la sfortuna con Torino ha ottimi occhiali.
La cosa peggiore, però, è che la squadra non sembra avere un’anima. E’ difficile innamorarsi, affezionarsi. Forse perché il momento della svolta è stato sempre un palo in faccia (pensate a cosa sarebbe stato battere Malaga nel modo in cui la stavamo battendo). Forse perché in alcuni, al momento, non si vede il sacro fuoco (Rudd, tutto sommato Wilson).
E’ che bisogna avere qualcosa a cui aggrapparsi. Nella Pms di A2 c’era. Nella rimonta clamorosa del primo anno di A c’era. Nei playoff sfiorati il secondo anno con Vitucci c’era (e anche gli infortuni ci misero lo zampino), per non parlare del girone d’andata dello scorso anno e della Coppa Italia. Quest’anno meno. Questa squadra, al di là dei risultati, fa battere meno il cuore.
Però poi pensi a Peppe Poeta, alle sue penetrazioni, ad alcune sue giocate al limite del martirio per svegliare gli altri, al suo essere capitano con l’esempio e non solo a parole e ti commuovi. Poi pensi a Portannese che torna e dà subito tutto in campo. Poi pensi al no look di Jaiteh per Anumba che fa un gioco da tre punti su cui tutti abbiamo pensato che dopo un no look di Jaiteh per il gioco da tre di Anumba non si poteva perdere (e però abbiamo perso). Poi pensi a una squadra che ruota in sette e rischia il colpo esterno contro il Mornar Bar. E allora forse, forse, non tutto è perduto. Qualcosa a cui aggrapparci c’è. Ma il tempo corre, non aspetta, è in transizione mentre stiamo ancora capendo chi doveva prendere il rimbalzo. Non tutto è perduto, quindi, ma fate presto. Fate presto.
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