L'impresa incompiuta

È domenica mattina, apro gli occhi e sento già un po' d'ansia in fondo allo stomaco, nemmeno dovessi giocare io: contro Milano però non è mai una semplice partita. È una sfida, è cercare di battere la prima della classe in una verifica di matematica, è fare gara al semaforo con una Ferrari, è un' impresa che sembra una follia crederci ma poi alla fine ci crediamo tutti.

Aspetto le 17.45 con i sentimenti contrastanti di chi fa il conto alla rovescia a Capodanno e un condannato che aspetta l'iniezione letale.

Il momento della gara arriva e mi sento confortata dal volto di Galbiati nel prepartita: io avrò anche ansia, ma le sue occhiaie mi ricordano che tutto è sulle spalle di lui e dei suoi. E così sarà.

Fin dall'inizio restiamo attaccati alla partita e l'idea generale è che dipenderà tutto da noi, che se dopo l'intervallo riusciranno a scavare il solco del distacco sarà perchè abbiamo smesso di difendere e di attaccare di squadra.

Non succede: siamo in controllo, rispondiamo al fuoco colpendo più forte, il paladino Mazzola tira fuori dal suo arsenale quattro bombe che ci fanno saltare in aria nemmeno ce le avesse lanciate sotto al divano. Garrett e Mbakwe sono soldati esperti e Vujacic non vuole fare l'eroe a tutti i costi.

Urlano tutti presente al Capitano che guida le truppe: lui, Peppe Poeta.

È la sua trecentesima presenza in Serie A e gioca con un coraggio che onora quel numero: 300 come i soldati che si sacrificano per l'impresa nella battaglia delle Termopili contro un esercito ben più armato.

Non vinciamo, gli avversari sono riusciti a dimostrare il loro talento per quaranta minuti e a noi è mancato lo sprint finale: dopotutto è dura giocare spesso in quattro contro cinque, se loro sono dei veri numeri uno e il nostro numero 1 è rimasto con la testa sulle spiagge di Los Angeles.

La Torino che conoscevo però è tornata e spero non decida di arrendersi proprio sul più bello: abbiamo perso una battaglia, ma non la guerra...

Photo credit: Fotoracconti.it