'Troppo'... Torna Canestro & Fallo
Diciotto secondi... e non solo
TROPPO
Quando, dopo essere stati sotto di sette a poco più di un minuto dal termine, due palle perse consecutivamente dalla Virtus Bologna (la prima dal fischiatissimo Aradori, in un momento di rara catarsi) danno all’Auxilium il potenziale possesso della vittoria, guardo il tabellone e penso a una sola parola: “Troppo”.
Sì. Troppo. Troppo tempo. Diciotto secondi per organizzare un attacco, in questo momento, sono controproducenti. Abbiamo una scimmia enorme sulla spalla, sul canestro, dove volete. Abbiamo i dettagli, l’esatto posto dove sta il diavolo, che non facciamo mai girare a nostro favore (le due triple consecutive in transizione per il pareggio sbagliate da Vujacic, per dirne una). Abbiamo il fardello di cinque sconfitte di fila, che vanno dal fisiologico (Venezia) allo sconcertante (Cremona e Pistoia), dallo sfortunato (Cantù) all’orgoglioso (Milano), ma tutte con in dote zero punti. E allora non dovremmo ragionare, dovremmo correre, andare di puro istinto. Dovremmo chiedere agli arbitri di farci partire da otto e non da diciotto, peccato non si possa.
Mi passa per la mente l’ultimo possesso contro Brescia nella finale di Coppa Italia. Nessuna strategia, il tempo correva e correvamo anche noi, correva Deron, correva Sasha, correvamo tutti per fare quell’ultimo cazzo di canestro. E lo abbiamo fatto. Stavolta no, dobbiamo pensare e se pensi, in queste situazioni, diventa un casino.
Eccoli lì i fantasmi, tutti sul parquet. La rimessa diventa subito uno psicodramma. Poi palla a Garrett che attacca con la faccia triste. Si passa a Vujacic che, spossato dagli straordinari, si ritrova una saponetta fra le mani e la saponetta, come da prammatica, schizza fuori. L’instant replay non riesce a regalarci nemmeno una mezza illusione, ma solo l’ulteriore beffa del settore ospiti che ci urla nei timpani quando gli arbitri indicano che la rimessa è virtussina. Eravamo in piedi per l’ultimo attacco: la posizione migliore per trasformarci ancora una volta in statue di sale.
Peccato.
Peccato perché dopo un primo quarto in cui sembrava che qualcosa fosse diverso e un secondo che pareva essere la solita roba, nella ripresa eravamo rientrati con i cosiddetti ben in vista in difesa.
Peccato perché il pubblico è stato splendido e il boato alla tripla del meno tre di Washington, in versione santo subito, ha avuto un non so che di tellurico.
Peccato, perché spiace perdere contro una squadra senza Ale Gentile e con uno Slaughter limitato da caviglia e falli, anche se ci ha pensato il mai troppo rimpianto Baldi Rossi a farci venir matti (appunto legato a una mia personalissima deformazione mentale: spiace perdere contro una squadra coi nomi di battesimo sulle canotte. Ma cos’è, il torneo dei bar? Siamo alle superiori? Devo aspettarmi magliette con scritte come “La prossima volta mischiamo le squadre”? Ditemelo solo che mi regolo). Una squadra che, per come ha dilapidato il vantaggio negli ultimi secondi, avrebbe potuto vincere solo con noi, forse.
Spiace anche per qualche fischio non proprio simpatico a sfavore. Capiamoci: il girone di ritorno è figlio di scelte a dir poco autolesionistiche e lo sappiamo, ce lo siamo detti e scritti, ma non esista nessuna regola che dica che, se si fa una cavolata, allora va bene che ci fischino contro, tanto dove andiamo, Madonna, rivoglio Patterson (che, sia detto per inciso, andrei a riprendere subito, cantando una serenata sotto il suo balcone per convincerlo). Non parlo dell’ormai tristemente famoso antisportivo contro Vujacic a Cremona, ma di gare con pochi punti di scarto contro Cantù e contro Bologna, dove certi fischi avrebbero potuto cambiare le cose, nonostante tutto, nonostante noi. E invece ci sorbiamo una tarantella di un minuto e mezzo di Ramagli non punita con un tecnico, un antisportivo a Blue che, forse, voleva spingerlo all’autolesionismo dopo l’ennesima gara a secco, un antisportivo non fischiato in favore di Garrett qualche minuto dopo. E va beh, è andata così.
Peccato, soprattutto, perché adesso siamo appesi a un miracolo che non vedo onestamente come potremmo realizzare. Peccato perché le speranze sono ridotte a un lumino da morto. Peccato, perché quattro partite senza, probabilmente, più nulla da chiedere, se non salvare almeno la faccia, sono come quei diciotto secondi con l’ultima palla in mano: francamente troppo.
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