Una trasferta amara
La "virtus" di pochi non basta
La partita contro Bologna è coincisa con la mia prima trasferta stagionale, e quella con la Virtus non è mai una sfida banale: valeva la pena essere al Paladozza.
Arrivo di fronte al palazzetto con un'ora e mezza di anticipo, come sempre, sorridente ed in contemporanea al pullman della Fiat, ma è inutile dire che la mia gioia è durata ben poco.
Chiedo di essere fulminata se mi lamenterò ancora del parcheggio al Palavela: dopo aver girato la città per mezz'ora abbondante facendo slalom tra la ztl, trovo posto in una stradina di periferia probabilmente in provincia di Piacenza.
Il genio di giornata è l'uomo che esce con la sua felpa bianconera dal palazzo di fronte all'ingresso del palazzetto: evidentemente dopo anni da abbonato avrà ritenuto meno gravoso comprare un appartamento rispetto al cercare parcheggio ogni domenica.
Dopo una freschissima passeggiata circondata dai virtussini e dopo aver aspettato il resto della curva finalmente sono dentro: il primo impatto col Paladozza mi lascia senza fiato, la televisione non rende assolutamente l'idea di cosa sia la Fossa (in gergo fortitudino) e della verticalità del pubblico tutto intorno ma, banalmente, il mio primo pensiero che è se non vedessi per sbaglio un gradino probabilmente mi ritroverei morta in campo.
Sull'onda di questo ottimismo la partita dell'Auxilium comincia nel peggiore di modi, bombardati dalle triple e da un Aradori che chiama a sè tutti gli insulti possibili da parte di chi l'anno scorso si era illuso di poterlo vedere tra le fila di Torino.
Nel secondo quarto iniziamo a giocare e all'intervallo la situazione è di sostanziale equilibrio: dal cuore si fa sentire una flebile voce di speranza che la testa vuole mettere subito a tacere.
Il secondo tempo porta la firma del capitano gialloblu che, aiutato da un ritrovato Cusin, mette in campo il solito cuore e la solita grinta che non sono mai banali ma che purtroppo mancano a coloro i quali dovrebbero essere le stelle di questa squadra. Sono certa che se questi avessero anche solo un terzo della voglia di vincere con questa maglia che ha Poeta questa partita l'avremmo vinta: dopotutto Peppe è uno dei pochi giocatori che lascia un buon ricordo di sè ovunque vada, e i cori bolognesi per lui sono una conferma.
Dopo aver inseguito a distanza ravvicinata per tutta la gara, l'ultima tripla presa da Delfino si è spenta sul ferro insieme alle speranze di overtime: forse lo schema spiegato durante il timeout non era sufficientemente chiaro o forse è stata semplice sfortuna, sta di fatto che il pensiero comune è "mai una gioia".
Bologna ha giocato una buona partita lasciandoci però la possibilità di passare in vantaggio con qualche libero sbagliato; Torino ha disputato una gara migliore delle precedenti e facendo qualche timido passo in avanti.
Quello che manca alla squadra è la personalità, l'intesa di un gruppo che insegue un obiettivo restando unito per quaranta minuti: difficile però che questo accada quando due giocatori come Taylor e Rudd sono al centro delle voci di mercato e se Wilson non riesce a ritrovare se stesso e a giocare perlomeno una prova d'orgoglio contro una tifoseria che lo ha fischiato abbondantemente.
Resta l'amaro in bocca per l'ennesima vittoria sfiorata che ci lascia inevitabilmente nella parte bassa della classifica.
A fine gara, dopo aver subito insulti vari dalla tifoseria avversaria (di cui però ho ammirato le capacità corali), veniamo scortati giù nel parcheggio e siamo così tristi che un poliziotto prova pena per noi e dice: "Beh però avete proprio una bella squadra". Per un attimo penso di rispondergli male e farmi arrestare per non dover rifare a piedi la strada fino alla macchina.
Ma intanto continuiamo a camminare come squadra, aspettando i nuovi arrivi...
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